Il programma del Lunedì sera

       

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De Laurentiis: “Ho vinto e ora cambio il calcio”

da | 12 Mag 2023 | TOP NEWS

Uno scudetto a Napoli 33 anni dopo Maradona. E adesso un piano di riforme: la Serie A in campo da aprile a ottobre, una nuova legge sui diritti tv, gli stadi a misura di famiglie. Parla il presidente che ha portato in Italia il suo sogno americano
Dopo lo scudetto, le riforme. Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli campione d’Italia, ci incontra nella cappella del Palazzo Reale, la “Reggia sul Mare” da dove questa città da sempre guarda al resto del mondo. Produttore cinematografico con la passione del calcio, De Laurentiis, 73 anni, rivendica il merito di aver progettato il terzo scudetto dal nulla, scrivendone la sceneggiatura proprio come avviene per i film di successo nella sua Los Angeles. Assicura …
Volevo Spalletti e andai a casa sua, lui scese in garage con un cappuccio per non farsi riconoscere

Covid, avevamo perso 258 milioni, ci chiedevano molti soldi. Poi lui ha cambiato agente e Giuntoli è stato molto bravo a portarlo a casa per 11 milioni. Osimhen ha avuto la possibilità di recuperare fisicamente: molte volte l’abbiamo avuto a mezzo servizio. Quanto a Spalletti, lo seguo da quando era in Russia, tante volte l’ho chiamato per portarlo a Napoli. Un bel giorno sono andato a trovarlo a Milano al bosco verticale, lui è venuto molto timorosamente nel garage per non farsi vedere, con un cappuccio in testa, e mi ha trascinato nel suo appartamento. Gli ho detto: “Non so se andrò avanti con Gattuso, tu tieniti pronto”. Rispose: “Presidente, a giugno vengo ma adesso non me la sento”.
Insistetti: “No, se io dovessi avere dei problemi e decidessi di esonerare subito Gattuso, tu mi devi promettere che ti rendi disponibile”. Mi diede la mano, poi non c’è stato bisogno di cambiare in corsa, abbiamo aspettato la fine della stagione. È arrivato in un clima abbastanza eversivo, perché nel frattempo a febbraio avevo mandato a monte i miei accordi con lo sponsor tecnico per diventare io sponsor di me stesso. Avevo chiamato Giorgio Armani, un amico, che mi ha messo a disposizione il marchio EA7, e ho chiesto a mia figlia Valentina, che aveva sempre avuto voglia di cimentarsi nella moda, di darmi una mano. C’erano problemi con i trasporti e le spedizioni per il Covid, eravamo in ritiro, Spalletti era preoccupato: “Presidente, ma non è che alla prima partita andremo in campo con le maglie vecchie?”.
E adesso invece questa parte nuova del Calcio Napoli sta avendo un successo senza precedenti, fatturiamo tre volte più di quando avevamo lo sponsor tecnico. Io nel calcio lavoro per i tifosi, come nel cinema per gli spettatori. Di successi in successi siamo andati avanti fortunatamente per una cinquantina di anni, con quattrocento film abbiamo toccato qualunque tipo di pubblico e genere, dagli Almodovar ai Ridley Scott, dai Pasqualino Festa Campanile ai Mario Monicelli, dai Carlo Verdone ai Roberto Benigni. Ci siamo divertiti. Abbiamo inventato 32 anni di commedie di Natale, mettendo alla berlina l’italiano, che però rideva sganasciandosi e pensando che io parlassi sempre di quello seduto accanto a lui. Mi sono divertito a criticare il berlusconismo e l’edonismo craxiano. Con i Vanzina abbiamo fatto di tutto e di più».


Quindi quello che le dava sicurezza erano i campioni del Napoli?


«Non solo i gioielli, Osimhen, Kvara, ma anche tutti gli altri. Il capitano Di Lorenzo è un uomo straordinario, educatissimo, su cui si può sempre contare. E Spalletti è un condottiero, un grande affabulatore: tutti dovrebbero studiarlo, c’è sempre da imparare da lui».


E adesso è sicuro di poterli tenere tutti al Napoli l’anno prossimo?


«Non solo: vorrei aggiungerne altri. Mi piacerebbe avere un americano, perché in America anche se il campionato vale poco ci sono grandissimi giocatori che risplendono in nazionale. E poi un giapponese, avendo già un coreano, visto che c’è un grande sviluppo del nostro calcio in Oriente e ci sono nuove entrate da considerare. Ma non vorrei mandare via nessuno dei nostri».


Ma quando lei ha preso il Napoli, nel 2004 in Serie C, che sogno aveva?


«Ha mai sentito parlare di Barry Diller? Era un allievo nella fucina di mio zio quando si era trasferito in America. Mio zio lo raccomandò alla Paramount di Charlie Bluhdorn, proprietario della Gulf and Western Industries. Diller diventò molto amico di Murdoch e lo convinse a entrare nella televisione unendo i grandi titoli di cinema e dello sport. Ed ebbe un grandissimo successo. Io mi dissi: noi siamo di origini napoletane, il cinema lo facciamo, ci manca il calcio. Nel 1999, ricordo come se fosse ieri, mi presentai ai giornalisti con un assegno della Bnl di 120 miliardi di lire per comprare il Napoli, lo strappai in due e dissi che lo avrei riunito dopo aver fatto la due diligence. Ferlaino mi fece causa, adducendo che gli avevo distratto la campagna abbonamenti. Tornai negli States. Nel 2004 in vacanza a Capri appresi dai giornali che il Napoli era fallito. Preparai 37 milioni in assegni circolari, e ricordo una grande litigata con il presidente delTribunale. Io volevo solo poter andare alla Federcalcio e farmi riconoscere l’emblema del Napoli. Mi dissero che come regalo potevo ricominciare dalla Serie C: ah, grazie. Ho girato campi del Sud dove mi sputavano sulla testa e dovevo barricarmi per quattro o cinque ore negli spogliatoi a fine partita. Però lo trovavo molto divertente: “Sono venuto da Hollywood a farmi massacrare”. È stata una scuola di vita per capire il calcio e la territorialità. Lo sa che io non ho mai perso una assemblea di Lega? Molte proprietà non vengono mai».


La racconta come una storia americana: si riparte da zero e si ricostruisce per vincere.


«È stato un insegnamento di mio padre che mi ha fatto fare un po’ tutte le varie esperienze. Nel cinema devi essere capace di creare, realizzare e commercializzare. C’è una frase che mi contraddistingue: ci sono gli imprenditori che vogliono fare impresa e ci sono i prenditori che vogliono fare presa. Se io dovessi fare i film che piacciono a me non avrei mai successo. Devo interpretare i gusti del pubblico».


Nel calcio qual è l’operazione che le ha dato più soddisfazione?


«Nel Palermo vedevo questo giocatore con i capelli lunghi all’ala destra: era Cavani. Mi dicevano: non è roba per noi. Chiamai Zamparini, mi disse: “Lo vuoi? Dammi 19 milioni”. “Te ne do 18”. “Guarda che prendo l’aereo e vengo lì”. Dopo due ore era nel mio ufficio. Ricordo che stavo dando Quagliarella alla Juve, giocavamo all’estero, sugli spalti c’era il caos fra i tifosi contro di me. Cavani segnò due gol e Quagliarella era già dimenticato. Un grande campione, Quagliarella, lo ha dimostrato anche alla Sampdoria, mi è dispiaciuto poi scoprire che aveva un grosso problema poi risolto».
«Da quando sono nato vado a Capri. Vedevo Napoli attraverso gli occhi dei miei parenti: mio padre, mio zio, le sorelle di mio padre, tutte torresi, mio nonno, che veniva dall’Irpinia. Avevo un’immagine magica della città. Quando l’ho vissuta più da vicino, l’ho trovata estremamente diversa dai miei sogni. Ma siccome sono un sognatore, mi sono detto: Aurelio, vai per la tua strada, non ascoltare nessuno. Le difficoltà mi stimolano, mi rendono più operativo: se una cosa è facile, non c’è nemmeno gusto.Adesso ho trovato un questore straordinario, un sindaco fantastico, un prefetto formidabile: andiamo d’amore e d’accordo e filiamo dritti come un treno».
«La risposta è che io sto a pieno servizio con il Napoli, a mezzo servizio con Roma e Los Angeles. Pensi che Los Angeles la sto trascurando da un anno e mezzo».


Lei ha dei rapporti buoni con il mondo della politica e dell’economia. Ritiene che sia stato un errore liberarsi in anticipo di Draghi?


«Io sono sempre stato un grande estimatore di Draghi, mi ha chiamato per complimentarsi per lo scudetto. Gli ho detto che avremmo bisogno di unificare la sua figura come economista — perché io sono dell’idea che non si può fare politica senza fare economia — e la caparbietà, la capacità, la passionalità di una politica che dà tanti anni sta sulla scena e ha fatto la gavetta come Giorgia Meloni. “Voi due insieme sareste imbattibili”. Però bisognerebbe cambiare la nostra Costituzione fondando una repubblica di tipo presidenziale». “Nobody’s perfect”. Nessuno è perfetto, ci ho fatto anche un film con Pozzetto e Muti. Bisogna sempre aggiustare, cambiare. Non è che una riforma costituzionale risolva tutti i problemi»


«Mio zio mi ripeteva: l’America è una bellissima donna, se uno riesce a farci l’amore è ripagato, altrimenti è sconfitto. Se in America non hai successo, non puoi consolarti come invece a Napoli, quando basta aprire la finestra e guardare il golfo.
Come fai a essere depresso a Napoli?»
«Penso di aver più ricevuto. Per me dare è normale: non chiedo mai niente in cambio.
Ai miei figli ripeto: cercate di non fare mai le cose per avere altro in cambio, non vi aspettate nemmeno un grazie, siete voi che dovete ringraziare gli altri».


C’è qualcosa che non sappiamo di Aurelio De Laurentiis?


«Tutti pensano che io sia molto serioso. Ma io ho fatto divertire tutti gli italiani con le mie commedie. Sono uno impegnato, rispettoso della regolarità e della legalità.
Ma poi sono un grandissimo casinaro. A vent’anni ero irriducibilmente tosto, mio padre invece era un dolcissimo diplomatico. Una volta andarono a dirgli: “Hai fatto un figlio che…”. E lui li bloccava: “Calma, Aurelio nella misura in cui riesce a romperti i coglioni si realizza”. Io origliavo dietro la porta. Entrai, me lo abbracciai e lo baciai».
Draghi mi ha fatto i complimenti gli ho detto che lui e Meloni insieme sarebbero imbattibili.